Il buddismo nella globalizzazione

Ho pensato di scegliere la globalizzazione, come tema di questo incontro, perché il primo a parlare di un mondo diverso e possibile è stato proprio il Buddha 2500 anni fa.
Pertanto, a tutti coloro che vogliono un mondo migliore di quello consumistico, ineguale e sfruttato che vediamo spiegarci davanti agli occhi, possiamo affermare che già, duemila e cinquecento anni fa, è stato possibile dimostrare che si può cambiare nel momento in cui si cambia se stessi.
Nel notiziario che spediamo ormai da trenta anni da Scaramuccia, faccio due citazioni, una riguarda Giordano Bruno da un articolo del 17 febbraio, il quale con la sua vita e la sua opera affermava la libertà dell'uomo moderno. Io sottolineo che con tutti i meriti che può avere avuto Bruno, il Buddha lo insegnava in maniera più chiara molto prima di lui.
L'altra si riferisce a un articolo de il manifesto il cui titolo è la sorpresa del virus canaglia. La giornalista elenca i pericoli e le sofferenze che colpiscono l'essere umano, constatando che sarebbe più onesto ammettere che l'insicurezza è il costo che si paga alla libertà di viaggiare e di volare. In questo caso scrivo che le analisi sono corrette, ma alle conclusioni manca la semplice conoscenza di una nobile verità enunciata or sono duemila e cinquecento anni fa da un signore di nome Gautama.
E' ovvio, lo sappiamo tutti che la base del mondo è l'ignoranza. Ne è esempio l'invasione di un paese straniero da parte di un paese più forte senza che l'opinione pubblica del mondo intero si sia ribellata. Una parte lo ha fatto, è vero, ci sono pure le nostre bandiere della pace in cima alla collina, ma i media generali l'hanno data per normale. E gli episodi per dimostrare che alla base del vivere nel mondo sia l'ignoranza sarebbero tanti altri.
Se noi vogliamo che l'insegnamento buddista sia valido per tutti si devono inventare vie nuove per poter essere accettati da coloro che vogliono che il mondo sia migliore. Vie nuove proprio perché noi buddisti siamo i primi, ormai dagli anni sessanta, ad avere già scelto un proprio modo religioso di praticare. Fino al 1960, ma in alcuni paesi è tuttora così, non si sceglieva la propria "religione". Dagli anni sessanta molti esseri umani hanno scelto di cambiare religione. Inoltre, i nostri figli vengono cresciuti senza imporre loro alcuna religione. In tutti i paesi del mondo, siano essi buddisti, cristiani, musulmani, ebrei o induisti, e cito solo le religioni più conosciute, il figlio che nasce in una famiglia musulmana viene educato all'Islam, se nasce in una famiglia buddista viene educato al Buddismo, e così via. Noi invece siamo stati i primi a rompere questa consuetudine perché abbiamo voluto sceglierci la nostra religione, nel caso specifico staccandoci dal Cattolicesimo. Nello stesso tempo abbiamo deciso per primi che i nostri figli crescano senza avere alcun marchio religioso.
Questo dimostra che siamo all'avanguardia e in grado di proporre un mondo diverso, nel quale non avvengano separazioni chiudendo le persone nel ghetto della propria specifica religione, della propria etnia o addirittura regione geografica, come qualcuno chiede in maniera allucinante. Noi buddisti possiamo dire a gran voce che tutti gli esseri sono uguali e che tutti, più che appartenere a una religione appartengono all'umanità.
MumonPremetto che io, come penso tutti voi, nutro un'immensa gratitudine nei confronti dei maestri che nei paesi di origine o in Italia ci hanno trasmesso il Buddha Dharma. La mattina in questa sala vengono recitati con devozione i nomi di tutti i patriarchi che si sono succeduti da prima del Buddha Shakyamuni fino al mio maestro Mumon. Così quando parlai per la prima volta con il Dalai Lama nel 1964, nell'esprimere tutto il mio dolore e la mia comprensione per la sofferenza dovuta dall'invasione del suo paese, gli dissi che da quel grande dolore poteva fiorire un grande bene per il resto del mondo, perché i maestri tibetani sarebbero stati costretti a piantare i semi del Dharma nei nostri cuori. Per cui in noi deve essere profonda e inestimabile la gratitudine nei confronti di tutti i maestri che ci hanno permesso di accedere al Dharma, sia andando nei loro paesi come con la loro presenza in Occidente.
Ma, a prescindere da quanto appena affermato, per quanto mi riguarda sono da sempre impegnato perché l'Insegnamento si distacchi dalla religione. Nel 1967 mi recai in Giappone con l'intenzione di praticare in un monastero e al mio ritorno, alla fine del 1973, iniziai a costruire questo luogo, nel quale sono venuti a praticare un certo numero di persone per periodi più o meno lunghi. Ovviamente, nei primi anni del mio insegnamento, non potevo fare altro che ripetere quanto avevo imparato dentro e fuori
Shofukuji. Esattamente nel modo in cui lo avevo imparato presso il mio maestro. E così indossare gli stessi abiti e celebrare le stesse cerimonie. Lo sapevo fare solo in quel modo e per non sbagliare ripetevo pedissequamente quanto avevo imparato. E così penso che abbiano fatto tutti, in Italia e nel mondo, tanto che l'UBI, che ci rappresenta, è riuscita nell'intento di far riconoscere il Buddismo alla pari delle altre religioni.
Però io penso che dovremmo sforzarci per essere conosciuti come diversi da tutti gli altri! Dovremmo essere conosciuti per coloro che vogliono frantumare le religioni! Altrimenti, se continueranno ad esserci le religioni così come ci sono state fino a questo momento, non ci sarà mai un mondo diverso, nuovo, che secondo l'insegnamento del Buddha sappia staccarsi dall'attaccamento alle proprie ideologie.
Negli anni settanta,
Carlo Cassola, ebbe un certo successo, sia per i libri che per il film che ne fecero, ovvero La ragazza di Bube. Egli fu promotore, seppure poco seguito, ma io ero già d'accordo con le sue idee, del disarmo unilaterale. Erano gli anni della guerra fredda, della crisi della Baia dei Porci eppure c'era qualcuno come Cassola che aveva il coraggio di predicare che per un mondo pacifico qualcuno doveva cominciare a liberarsi delle armi. Ed essendo italiano si rivolgeva ai propri governanti e concittadini. Insomma, secondo Cassola, se qualche paese avesse avuto il coraggio di denudarsi delle armi altri avrebbero potuto seguirlo. Certo, visto come vanno le dispute internazionali, l'invito di Cassola sembra proprio quello di un visionario.
Ma noi buddisti, che visionari lo siamo fino al midollo perché aspiriamo addirittura a voler vedere la nostra reale natura di Buddha, potremmo raccogliere la provocazione di Cassola. Non vogliamo dire al mondo che si possa fare a meno di seguire gli insegnamenti che permettono di camminare sulla via della realizzazione interiore, ovvero dei maestri di qualunque scuola esistente nel mondo. Però possiamo cominciare a lavorare per liberarci dell'apparato e delle credenze religiose e in questo modo dimostrare come si possa costruire un mondo diverso. E allora invece che incontrarci fra religioni diverse per metterci d'accordo per mantenere i propri privilegi e le proprie sfere d'influenza si dovrebbe incominciare a discutere come sciogliere le religioni. Per arrivare al punto che gli esseri umani, in qualunque paese essi nascano, non siano costretti ad assumere l'identità religiosa del proprio paese o dei propri genitori. I bambini crescano al mondo sentendosi esseri umani in un mondo costituito da altri miliardi di esseri di tutti i generi: piante, animali, acque e montagne. Affinché imparino da subito ad accettare gli altri e ad essere solidali, perché siano sinceri e scambino con equità, si sentano uguali e rispettino le differenze sessuali di tutti gli altri esseri. Questa dovrebbe essere la religione naturale di ogni essere umano.taino_in_arrampicata
Io penso che solo noi buddisti potremmo fare questa specie di disarmo unilaterale, perché noi non abbiamo nulla da perdere, in fondo abbiamo già perso una religione il momento in cui abbiamo lasciato quella in cui siamo cresciuti. E soprattutto abbiamo la certezza di poter realizzare la nostra buddità, inerente a tutti gli esseri, senza alcun bisogno di alcun apparato specifico. Questa certezza è basata su un insegnamento che in 2500 anni ha mostrato ininterrottamente al mondo maestri illuminati. Noi non abbiamo paura di niente, e ancora più non siamo alla ricerca di alcuna remunerazione di qualunque genere. Ci possiamo permettere di camminare nel mondo col nostro passo leggero senza alcun attaccamento.
Quello che ho detto fino a questo momento può sembrare esagerato, anzi forse è proprio esagerato. Certo, il mondo non si cambia in un giorno, e noi abbiamo impiegato duemila cinquecento anni per incontrare la parola del Buddha. E magari prima che le sue parole raggiungano tutta l'umanità ne dovranno passare altri duemila e cinquecento.
Ognuno di noi incomincia a parlare con l'accento che apprende dai propri genitori, e così quando sono tornato dal Giappone ho iniziato a insegnare esattamente come avevo imparato nel monastero, ovvero alla maniera dello Zen giapponese: sapevo fare solo quello! E come un bambino andando avanti negli anni impara a parlare la propria lingua, si libera a poco a poco di quella dei propri genitori, mi sono sforzato di arrivare a un insegnamento il più essenziale possibile. E' un cammino che non ha una vetta precisa da raggiungere, è un continuo cercare per arrivare all'essenza. La stessa che a suo tempi
Bodhidharma è riuscito a portare in Cina all'inizio del Ch'an.
Insomma, noi buddisti, dovremmo essere in grado di mostrare a un mondo consumistico qual è quello che abbiamo di fronte, che noi non aumentiamo il consumo, non vogliamo aggiungere un'altra religione a quelle che sono già esistenti, ma vogliamo soltanto contribuire affinché diventi più pulito, più chiaro, più leggero, visto che la tendenza anche nel fisico è all'obesità. Lavorare perché inizi la dieta dimagrante all'interno delle religioni.
In noi deve esserci l'orgoglio di seguire un insegnante che già venticinque secoli fa affermava che fosse possibile un mondo diverso, e con questo orgoglio diventare capaci di dimostrare a chi ancora non lo sa che questo mondo diverso è ancora possibile per tutti.

Vesak a Sri LankaMi tocca concludere, lo faccio con piacere, perché sono contento, come spero che lo siate tutti, di stare qui insieme. Rinnovo l'invito perché veniate ogni volta che vorrete riunirvi in questo luogo. Abbiamo provato a farlo, è la prima volta, e con l'aiuto di tutti quelli che si sono resi disponibili, abbiamo messo quel poco che è stato possibile a disposizione gratuitamente per tutti. Potremo diventare più bravi e se vorrete venire ancora vi ospiteremo con molto piacere.
Io ho partecipato ad altri due Vesak, quello di Venezia e quello di Merigar. Prima ancora al convegno di Torino negli anni ottanta. In tutti e due i Vesak in cui sono intervenuto non ho mai messo l'insegnamento. Io non vado a parlare di Buddismo ai buddisti. Lo faccio soltanto in questo luogo per i discepoli che vengono a partecipare alle attività di Scaramuccia. Cioè se qualcuno viene a chiedermi di insegnargli metto a disposizione quello che so. Durante i Vesak, nelle occasioni in cui ho parlato pubblicamente, mi sono limitato a esporre degli argomenti che non hanno a che fare con l'Assoluto ma soltanto con il Relativo, che in quanto praticanti buddisti incontriamo nella società nella quale viviamo. Siccome noi tutti siamo praticanti di Buddismo è implicito che tutti sappiano i fondamenti della nostra pratica. E' implicito che si debba praticare la concentrazione, che permette di essere capaci di sviluppare la compassione e così essere in grado di confrontarsi con il mondo della globalizzazione. Questo è il catechismo buddista e trovo superfluo starlo a ripetere in questo consesso, è talmente ovvio! Io, per quanto è possibile, ho cercato di evitare quanto per un buddista dovrebbe essere ovvio. Quello che ho voluto che venisse fuori dal tema scelto per questo Vesak, era cercare di capire come possiamo spendere la nostra illuminazione nel mondo. E' stato appena detto che si deve scegliere il mercato equo solidale, ma quando divorzio da mia moglie che cosa posso fare? Come devo educare i figli? Quale parte politica scegliere nel momento che ci sono le elezioni? E così via. A parte i monaci che non si sposano, la maggior parte di noi si deve confrontare con questi problemi, e i buddisti come lo fanno? Praticamente, non in senso dottrinale, i buddisti come si pongono nei confronti della globalizzazione?
Certo volte mi sembra di essere un alieno perché quando vengo ai Vesak sono l'unico a non parlare di Buddismo. Allora mi chiedo: "Sbaglio io oppure sono gli altri a sbagliare?"
Io non mi permetto di stare a giudicare quello che avviene nelle scuole di Buddismo, perché credo che ognuno nel proprio tempio o centro sia libero di avere il maestro che vuole, italiano o orientale che sia. E il maestro che si è scelto lo guiderà sulla strada della illuminazione. Nessuno penso possa contestare questa condizione dei centri di buddismo italiani. Però, io chiedo, il momento che quel discepolo, o maestro, esce dal proprio centro o tempio e si confronta con i discepoli o i maestri degli altri centri, non si metterà certo a parlare di Buddismo. Io quando incontro i miei colleghi guide alpine non parlo di alpinismo: lo facciamo tutti i giorni l'alpinismo! Parliamo di assicurazione, di pensione, di incidenti, di organizzazione. Che bisogno c'è di parlare di buddismo coi buddisti: come le guide alpine con l'alpinismo i buddisti fanno buddismo tutti i giorni!
Quando ho detto che dovremmo fare a meno delle religioni dovremmo evitare di diffondere il Buddismo in Italia copiando le altre religioni. Secondo me non dovremmo copiare le altre religioni. Ovviamente ogni scuola fa come gli pare. Io dico che non dovremmo copiare le religioni da cui proveniamo in quanto apparati, pur essendo profondissimo il rispetto e la gratitudine nei confronti dei maestri che da questi apparati discendono. E ancora di più non dovremmo copiare dalle religioni che sono già insediate in Italia. Insomma uno va a praticare in Giappone, in Tibet, in Tailandia o in qualunque altro paese il Buddismo e poi torna in Italia per fare le stesse cose che fanno i preti cristiani da duemila anni. Io credo che dovremmo arrivare, se lo vogliamo, a diventare un sanga mondiale come dice Tich Nat Han. Però come si può raggiungere questo risultato se il musulmano vuole rimanere musulmano, il cristiano vuole rimanere cristiano, il buddista vuole rimanere buddista, e così via? Se si cominciasse a non chiamarsi buddista, cattolico, ebreo o qualunque altra cosa? Non potremmo essere noi i primi a non chiamarci in un modo particolare evitando di mettersi addosso altri nomi? Perché non cominciamo a chiamarci semplicemente esseri umani senza alcuna etichetta? Solo in questo modo si può contribuire a costruire il sanga del mondo, ovvero a sentirsi uniti a tutti gli altri esseri. E lo possiamo fare noi buddisti perché noi sappiamo di essere tutti bodhisattva, come mi ripeteva il lama Jampel Sanghye quando lo andavo a trovare all'Ismeo negli anni sessanta.
Io ho voluto dire soltanto questo. Ognuno nel proprio centro o tempio col proprio maestro porterà avanti la ricerca che lo faccia risvegliare alla illuminazione, perché la pratica buddista è, tautologicamente, pratica di illuminazione e niente altro.
Prima di finire mi viene di dire ancora qualcosa che può sembrare estremo. Quando abbiamo iniziato a praticare in Italia abbiamo avuto bisogno di essere riconosciuti dallo stato italiano. Mi ricordo che Scaramuccia era inserita in un libretto del ministero degli interni alla voce "culti ammessi". Poi siamo stati riconosciuti e infine vogliamo fare l'Intesa. Insomma vogliamo essere trattati come le altre religioni. In questo modo continueremo a fare quello che hanno fatto sempre tutti pure di fronte al mondo che sta cambiando così velocemente. Io credo che noi ci dovremmo presentare come il nuovo, non solo come insegnamento, questo è indiscutibile, ma specialmente nei confronti nel mondo. Altrimenti non avremmo fatto altro che passare da una parrocchia all'altra, senza incidere minimamente per la salvezza di tutti gli esseri.
Un modo per mostrarci al mondo e nello stesso tempo facendolo in maniera diversa, sarebbe intanto la semplicissima partecipazione alla Camminata in Pace della luna di ottobre. Troviamo una sera dell'anno, che sia con la luna piena oppure senza luna, in cui tutti i praticanti della via del Buddha, d'Italia, d'Europa e del mondo, camminano silenziosamente in pace invitando qualunque abitante di questa terra a farlo insieme. Far vedere che i buddisti sono in pace e proprio perché lo sono già possono mostrarla al resto dell'umanità per parteciparla.
Non c'è altro da dire, vi saluto, sono contento di essere stato con voi e spero che la simpatia, la fratellanza e la pace dei nostri cuori siano un'unica cosa con i vostri cuori.

Engaku Taino

EVENTI

Antonio Franco | Breath Trainer & Counselor
info@innerbreathing.org
P.I 08904860965, C.F. frnntn64h08e783z
Professionista normato
ai sensi della legge 4/2013

INFORMATIVA PRIVACY | INFORMATIVA UTILIZZO COOKIES

L'utilizzo del materiale prodotto da questo sito è possibile solo citando la fonte. Per i materiali dei quali ci è stato concesso l'uso, occorre l'autorizzazione del legale proprietario degli stessi.