Riflessione sulle pulsioni emotive

Ho provato tutta una serie di emozioni, come rabbia, tristezza, risentimento che si sono tradotte in ripetute discussioni. Grande sofferenza dentro e molte recriminazioni da entrambe le parti, ma… mentre tutto questo capitava, dentro di me ho avuta l'impressione che tutto quel discutere fosse in realtà un'abitudine acquisita nel rapporto trascorso, non il mio vero sentire intimo di quel momento (e neanche dell'altro).Come se mi forzassi di rivangare vecchie storie per costruire una discussione, mentre la realtà era che a me non interessava più quella situazione; però prendendone atto si sarebbe chiusa ogni possibilità di ulteriore dialogo, mentre col rinfacciarsi qualcosa, si teneva in piedi il contatto, si poteva continuare a rapportarsi, anche se in maniera assurda. Più precisamente, il lasciare andare in risentimento avrebbe rimosso un legame che invece, in questo modo veniva tenuto in vita.

Ovvero: nessuno dei due aveva intenzione di lasciare andare la presa, perpetrando la sofferenza.

Successivamente ho capito che queste "abitudini" che innescano delle reazioni non debbono derivare per forza dalla situazione in corso, dal rapporto con la persona che abbiamo di fronte, ma possono essere originate anche da storie simili che, per analogia, risvegliano determinati comportamenti. La ripetizione di certi schemi conosciuti ci fa sentire al sicuro. Sappiamo già cosa succederà e questo toglie l'ansia dovuta all'incertezza che, invece, è alla base della vita intorno a noi.

Non credo più che la gente cerchi sofferenza o felicità: penso che le menti¹ cerchino la perpetuazione di se stesse. Non importa se nel riso o nel pianto, purché gli schemi che l'ego ha costruiti, e che crediamo essere "noi", siano nutriti e ci permettano di perpetuare l'illusione di esistere in quanto esseri "speciali". L'importante è che, in un modo o nell'altro, l'ego si possa perpetuare.

Spesso il compiangersi può essere anche un modo per attirare l'attenzione degli altri e sentirsi speciali. È il nostro bimbo interno che si manifesta, infatti il non compiangersi vuol dire farsi carico di se stessi e permettere alla parte adulta di manifestarsi. Si spezza così un certo legame affettivo bimbo-genitore che si cerca convulsamente.Vuol dire anche: "so chi sono! Sono una vittima, un non-amato ecc…" e, di conseguenza, posso tenere sotto controllo la mia ansia.

Per questo tutti gli esercizi fatti in questi anni, i perdoni, le affermazioni, le visualizzazioni, non hanno realmente cambiato nulla nel profondo, ma solo alleggerito la situazione.Certo, magari qualcuno potrebbe dire che gli esercizi non sono stati fatti bene o che bisognava farli ancora ed ancora (un commento molto in voga presso molti operatori "new age") o non si credeva realmente nella loro efficacia (Tutte note che posso avere una loro validità).Attenzione, non voglio dire che questi esercizi siano inutili e non vadano praticati, altrimenti non ne parlerei neanche in questo sito. Quello che cerco di condividere è che io sento che non è con il mentale che si può sciogliere il mentale. O meglio, se si resta nel mentale come si può riuscire a scioglierlo? Sento sempre di più che è lasciandoli andare, non attaccandosi agli schemi della mente che questi si depotenziano e poi possono arrivare a cadere, o meglio a trasformarsi. La presa di coscienza è un primo passo fondamentale, ma non sufficiente (come molti credono), per il superamento di uno schema di comportamento. Si può addirittura affermare che la presa di coscienza necessaria non riguardi le cause dello schema, ma solo la sua struttura di funzionamento.Quando si manifesta un atteggiamento, una pulsione, paura o altro, non è riflettendoci su che lo depotenzieremo, ma osservandolo nel suo agire dentro di noi con atteggiamento meditativo², cercando, anzi lasciando che i punti fisici³, attivati dallo schema, si svelino a noi. Nell'atto della presenza mentale lo schema, non fuggito, si mostrerà al massimo della sua potenzialità e, restando presenti, respirando correttamente e non "cadendo dentro" lo schema, ovvero non immedesimandosi con esso, si arriverà a scioglierlo.Nessuno pensi che questo sia facile, anzi! Ho avuta una forte esperienza del genere durante un ritiro intensivo di meditazione Vipassana ed è stata una delle esperienze più dure della mia vita.Ho ritrovato questo concetto in Gurdjieff, che affermava la sterilità dell'introspezione (definita "un semplice fantasticare su noi stessi) a fronte dell'autoattenzione agli impulsi emotivi e fisici che attraversano il nostro corpo in certi momenti e che permette di registrarli quando accadono. Tale attenzione ci porta direttamente nel profondo celato del nostro essere.

Però la coazione a ripetere che ci arriva dalle abitudini e dalle pulsioni è molto forte e richiede una grande attenzione per evitare di ricadere, anche dopo lunghi periodi, negli stessi comportamenti o in altri similari. Perché la ripetizione di schemi noti, sia dolorosi che positivi, ci tranquillizza, in quanto sappiamo già come andrà a finire. Un antico proverbio irakeno dice: «meglio un male che si conosce di un bene che non si conosce».

Non posso di dire di avere la ricetta giusta: è un cammino che ognuno intraprende, magari incrociando persone che possano essere di sostegno. Bisogna, quindi, armarsi di pazienza e calarsi in sé con costanza ed attenzione, per poter riuscire, col tempo, a neutralizzare tali nodi alla radice.

Penso di approfondire, in futuro, questo argomento applicandolo alle compulsioni.

 

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