La storia del nome Kaisho

La storia del nome Kaisho
Il padiglione al centro d'OmpioNel corso di quegli ultimi due giorni, ci siamo ritrovati nella sala chiamata padiglione per una meditazione.
Sdraiato a terra, il corpo aderente al pavimento, mi sono lasciato trasportare in me stesso dalla voce che ci guidava. Dentro di me si muoveva il respiro e un vento sibilante, pur essendo tutte le finestre chiuse, mi risuonava nelle orecchie.

Trascorso un po' di tempo, del quale avevo completamente perso la cognizione, ho iniziato a vedere delle immagini dentro di me, come un sogno lucido, un sogno ad occhi aperti.
Mi sono rivisto piccolino con i pantaloni corti, il cappottino, un cappello con una visiera e i paraorecchie abbassati, lo sguardo serio, triste, quasi cupo. Nessuna gioia era in quel bambino che teneva la mano al padre, di cui non si vedeva altro che il braccio.
D'improvviso, la mano del padre non si vede più, il bambino si toglie agilmente il cappotto ed il cappellino, rivelando il proprio abbigliamento nero da monaco buddhista. Il capo è rasato ed il volto illuminato da un sorriso. Mi guarda, come si guarda qualcuno che vive di illusioni. Il suo sorriso quasi ironico a dirmi di lasciare andare quei pensieri. In quel momento sento che il nome di quel bambino è Kaisho.

Questa cosa è rimasta in qualche ripostiglio della mia mente, sino al giorno in cui sono tornato a vivere a Milano, nel 2000. Parlando con un collega della nuova società in cui lavoravo, ho scoperto che la madre del suo migliore amico era giapponese e, in più, traduttrice. Allora si è risvegliato il ricordo di quel nome che avevo sentito nella meditazione e gli ho chiesto di informarsi se quella parola avesse o meno un significato.

Conservo ancora il biglietto da visita della pizzeria dove il mio amico Marco aveva scritto quello che la donna, di cui ignoro il nome, aveva detto. Tempo dopo sono diventato amico di Toshihiro Miki, che mi ha confermato la traduzione e regalato una stampa del kanji¹ di questo nome.
La traduzione della parola è "colui che ce la fa" e a lungo mi sono chiesto il suo senso nella mia vita. Mi sembrava un augurio, una qualità, invece oggi sono arrivato a vederlo come un qualcosa che illumina la mia strada come una lampada, come la meta del mio cammino. Qualcosa che, quando sono a terra, senza forze e sento che vorrei lasciarmi andare, trascinato da un senso di abbandono, mi riporta a me e a tutto quello che a me è collegato.
Kaisho è la radice che mi unisce a schiere di esseri e non mi lascia solo, la radice del ricordo di me.

 

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