Chi ascolta?

Chi ascolta?
Esperienze mie, racconti di alcune persone su esperienze personali e notizie lette hanno creato delle connessioni fra fatti vissuti ed idee e mi hanno portato a pensare: chi ascolta?

Quando una persona vive una situazione di disagio, che riguardi una relazione, la visione di sè o quant'altro possa coinvolgerla, spesso cerca qualcuno che lo possa ascoltare, in modo da potere decongestionare la pressione interna che si è creata e, in seconda battuta, ricevere dei consigli per una possibile soluzione. In altri casi vorrebbe confidarsi, ma ha l'idea che quello che ha da dire sia terribile e che la persona cui dovesse fare le sue confidenze le troverebbe mostruose, oppure ha la percezione contraria, cioè che tutto quello che vive come problema sia di poco conto, in confronto a quanto vivono gli altri, e non riesce a dare valore al proprio bisogno di confidarsi.
Si tratta di esperienze vissute in prima persona, viste nei cari che ci circondano oppure in conoscenti e clienti. Nei gruppi di autoaiuto per disturbi alimentari, creati anni fa, mi era apparso subito molto chiaro come una delle esperienze più forti per le persone che partecipavano fosse quella di condividere le proprie esperienze e vedere che gli altri partecipanti non le rigettavano, anzi le comprendevano. Una reazione simile, che non richiedeva risposte ma accettazione, provocava in chi si confidava una profonda apertura: si sentiva accettato e, passatemi il termine, "normale" perchè quello che viveva era vissuto anche da altri.

Che cosa rendeva possibile questa accoglienza da parte degli altri partecipanti ai gruppi? Essi erano in ascolto e lo erano fino in fondo perchè consci che la sofferenza ed il disagio che venivano manifestati erano prossimi al loro, sapevano che dare ascolto all'altro era, in qualche modo, ascoltare una parte di se stessi.

Molti sono gli ambiti in cui le persone non si sentono ascoltate. A me capita spesso quando mi trovo a parlare con un dottore della mia situazione di salute; ho l'impressione che quello che dico non venga tenuto in considerazione, al di là delle informazioni di base standard che permettono di inquadrare i sintomi principali entro una determinata casella. Ovviamente questo commento non è applicabile alla categoria dei medici in generale, però è un qualcosa che torna spesso. Capita anche in ambito olistico ovviamente, dove molti operatori tendono ad incasellare i clienti in base ai segnali principali che vengono riportati da essi, scartando possibilità differenti, per superficialità oppure per mancanza di esperienza. Il fatto di riuscire a delineare un profilo 'standard' per una persona la rende più accettabile per chi deve confrontarsi con essa, medico o operatore olistico che sia.

Ci sono mille e mille tecniche di sostegno nelle relazioni di aiuto, ma l'ascolto è qualcosa in più di una tecnica, più che altro credo sia una capacità intrinseca, un dono che si ha o non si ha. Si può imparare a svilupparlo, affinarlo, migliorarne l'utilizzo, ma se la persona non ha questo dono in sè, non penso possa arrivare ad impararlo sui libri.

Il non ascolto oggi si è ancora più diffuso nella vita di tutti i giorni. Basta andare in giro per le città o in metropolitana per rendersi conto di quante persone siano isolate dall'ambiente grazie a cuffie per la musica. Autoradio accese sempre, televisori sempre attivi, sembra che restare presenti a se stessi sia divenuta una sofferenza! Come si fa a parlare con persone che un po' ti ascoltano e un po' messaggiano coi loro smartphone con persone che non sono lì. Niente contro la tecnologia, ma contro alcuni suoi usi certamente sì.

Vetrata di Notre Dame de Paris: photo by Antonio FrancoL'ascolto è un'esperienza di vita che facciamo e che richiede un impegno duro: richiede che, prima di tutto si ascolti noi stessi! Questo è l'ostacolo che impedisce a tante persone di ascoltare gli altri: l'ascolto della sofferenza dell'altro riecheggia quella che stiamo rimuovendo dentro di noi.
Prendiamo l'esempio di una persona cui sia appena morto qualcuno di caro e che senta la necessità di essere ascoltata da qualcuno. Si confiderà con qualcuno per essere accolta, ma se la persona cui si rivolge non ha mai fatto i conti con la perdita e la morte (che fra tutti i tipi di perdita è la più dura) come potrà questa porsi veramente nell'ascolto e nell'accoglienza? Paure e dolori rimossi cominceranno a rimontare nell'ascoltatore che diverrà cosciente del proprio disagio in vari modi di dfferente intensità, in base a quanto grande sarà la propria presa di coscienza. Si potrà passare dal disagio alla sofferenza sino ad un dolore intenso. Facilmente chi ascolta cercherà di interrompere questo flusso che sente crescere dentro di sè, in quanto esso tende a rimuovere l'anestesia emozionale che era stata creata a difesa del dolore. Ecco che si avranno come risultato le frasi di circostanza tendenti a normalizzare l'evento sia per chi ha confidata la sua sofferenza che, sopratutto, per chi ascolta. Altri tendono a non sentire empaticamente il dolore dell'altro e, pur partecipando alla condivisione, internamente non capiscono. Ricordo che un amico mi confidò, dopo la morte di un suo parente, di aver capito solo allora le mie lacrime al funerale di mio padre, morto quando avevo vent'anni. All'epoca gli era sembrato esagerato poi, quando attraversò l'esperienza, capì cosa avesse potuto significare per me.
L'ascolto è ostacolato dal non volere sentire la nostra sofferenza o la nostra paura nascoste, oppure dal fatto di non essere in grado di percepire il valore dell'esperienza dell'altro. Nella vita di tutti i giorni vivo queste cose continuamente, mentre sento che per molte persone sentirsi ascoltati sia fondamentale per un'accettazione più serena. Non si tratta di una semplice abilità di counseling, da utilizzare in ambito lavorativo, ma di qualcosa che possiamo e dobbiamo portare nella nostra vita quotidiana per migliorare le nostre relazioni, che sono il sale della nostra esistenza.

Essere in grado di ascoltare gli altri è essere in grado di ascoltare se stessi.

 

 

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