Etica e cultura

Etica e cultura

ETICA E CULTURA
di Claudio Pozzani

 

Edgar Morin diceva: "Vivere poeticamente significa vivere intensamente la vita, vivere d'amore, vivere di comunione, vivere di comunità, vivere di gioco, vivere d'estetica, vivere di conoscenza, vivere nello stesso tempo di affettività e di razionalità, vivere assumendo pienamente il destino di homo sapiens-demens."
Quando si parla di etica si viene presi per bacchettoni o per reazionari, come se i valori etici non fossero i veri capisaldi del vivere civile e sociale.
Ormai è proprio questo il nodo cruciale della società contemporanea, cioè la contrapposizione tra la Luce di chi ha ben chiari valori quali onestà, curiosità intellettuale, passione, rispetto per gli altri, voglia di conoscenza, condivisione dei saperi, ricerca del bello e l'Ombra di chi li ha dimenticati o, nel caso di nuove generazioni, non ha avuto nessuno che glieli insegnasse, visto che un sempre maggior numero di genitori sta abdicando il proprio ruolo di educatori e le scuole si sono arrese alla logica commerciale e materiale che vuole gli studenti equiparati a meri clienti e lo studio come unicamente propedeutico a un lavoro.

Dante mette nella bocca di Ulisse la famosa frase "Fatti non foste per vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza": la guerra che si combatte è tra i bruti e chi vuole elevarsi.
La concezione che lo studio sia propedeutico a un lavoro è a mio avviso aberrante e su questo orrore si è basata una società che, come stiamo vedendo, si sta avvitando verso il basso in ognuno dei suoi comparti: quello etico, quello sociale, quello culturale, quello economico, che d'altronde sono strettamente collegati.
Questo concetto propugna l'idea che lo studio e quindi l'anelito di conoscenza, la ricerca, il piacere della scoperta, possano avere un senso solo se inquadrati in un avviamento a una professione, all'acquisizione di un ruolo sociale, all'entrata in una categoria identificabile.
Questo è comprensibile in una società che definisce gli esseri umani secondo il ruolo che svolgono: tu non sei Mario Rossi ma sei un avvocato, un medico, un professore, un impiegato, un commerciante, un operaio, un industriale.
Svincolato dalla tua mansione tu non sei nulla, il tuo essere Mario Rossi non importa.
Ecco quindi che la colonna portante dell'evoluzione umana, cioè lo studio, (quindi creatività e ricerca) è svilito a mero periodo di tirocinio, se non addirittura a sala d'attesa.
Ma in una società normalmente sviluppata e con valori saldi, lo studio non è subordinato al lavoro ma è altra cosa.

L'aspetto ancora più spaventoso è che lo studio è svilito proprio perché è legato al concetto di ascolto.
Non è un caso che ne parli proprio qui, in questo convegno, visto che per voi la questione dell'ascolto è fondamentale¹.
Come autore e organizzatore mi occupo di poesia, cioè l'arte più trasversale e naturale che esista e per questo la più bistrattata perché in realtà è la più pericolosa.
Pericolosa perché attiene alla comunicazione primitiva, dalla voce di uno all'orecchio dell'altro, senza bisogno di movimento, senza bisogno di strumenti.
Trasversale perché entra in tutte le arti, non a casa le più grandi avanguardie del XX secolo, Futurismo, Dada e Surrealismo, che ancor oggi influenzano la società, sono state fondate da poeti, non da pittori o musicisti.
Ma la poesia porta in sé un paradosso che rientra perfettamente nel tema di questa riunione.
In Italia quasi tutti scrivono poesie e quasi nessuno legge poesia.
E questo è il paradigma della società contemporanea, dove quasi tutti si sentono nel diritto/dovere di esprimersi anche e soprattutto in campi che non conoscono e quasi nessuno trova tempo e voglia per ascoltare gli altri.
Questo perché l'ascolto e l'osservazione sono sì le fondamenta di ogni sapere e civiltà ma non sono estrinseche, non sono visibili, non sono "spendibili".

L'arricchimento personale non è funzionale al 1° vero comandamento della società contemporanea: mettiti in mostra.
I social network, che avrebbero potuto essere un elemento di sviluppo sociale, hanno reso parossistico questo aspetto.
Come nella poesia l'80% di chi scrive versi lo fa per farsi dare una patente di sensibilità o di coscienza civile dagli altri, così nei social network l'ascolto viene dissimulato con prese di posizione, indignazione, solidarietà.
Tutto è urlato, messo in piazza, svuotato dei suoi veri valori e contenuti, dalla nascita di un figlio al rapporto amoroso, dall'ideologia all'impegno sociale, tutto è messo nella vetrina tritacarne dei social.
Per sentirmi vivo e per dare un'importanza alla mia vita ho bisogno di renderla pubblica, di farmelo certificare dagli altri attraverso i "Mi piace" o post o, come dicevamo prima, devo rientrare in una categoria considerata "utile" alla società.
Ma come si è arrivati a questa indecenza mentale, a questa maleducazione sentimentale e culturale, a questo vuoto esistenziale?
Per mancanza di parole.

La maggior parte degli italiani usa durante la propria vita un vocabolario di 500 parole, in una delle lingue più ricche e belle del pianeta.
Se si eliminano la lettura e l'ascolto (in pratica lo studio) inizia la siccità mentale che porta all'inaridimento del proprio essere.
E quando finiscono le parole è lì che inizia la violenza: dalla guerra più grande al litigio tra amanti c'è in fondo una mancanza di parole e di ascolto.
Dopo essere stati bombardati di lotte per i diritti, ci si è dimenticati che essi posano e devono la loro esistenza ai doveri, cioè ai comportamenti etici singoli e generalizzati. Ecco perché chi parla di etica, di educazione e di cultura viene sovente irriso o reputato un nostalgico bigotto.
Dalla scuola, alle pubblicità è passato il messaggio che per essere devi avere.
Insieme alla cultura è stato cancellato un verbo.
E se non hai imparato ad essere, quando non potrai più avere perché la siccità sarà al massimo e i rubinetti saranno chiusi, sarai perduto.

Per quanto concerne la cultura dell'etica, in una conferenza a Parigi sintetizzavo così la grande differenza tra la situazione italiana e quella francese o tedesca o del nord europa: da noi cosa pubblica (un giardino, una strada) significa che non è di nessuno, e quindi posso sporcarla e rovinarla, negli altri paesi vuol dire invece che è di tutti.
Trasferite questo assioma a tutti i comparti del vivere sociale e avrete la risposta del perché siamo arrivati a questo punto.
Vorrei attirare la vostra attenzione verso un altro dato: è un caso che Portogallo, Grecia e Italia abbiano le crisi economiche più gravi e siano anche i tre Paesi dove si legge meno e dove gli investimenti in cultura sono i più bassi rispetto al PIL?
Per me non è un caso. E questo ci fa ritornare al punto di partenza: lo studio, la cultura arrichiscono la persona anche economicamente.
Purtroppo qui non è possibile a causa di una falsa idolatria del lavoro, portata anche dall'errata formulazione dell'articolo 1 della Costituzione.
Io penso che i padri costituenti abbiano sbagliato a scrivere l'Articolo 1 della Costituzione.
Hanno scritto "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro."
Avrebbero dovuto scrivere "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, arte e cultura".
Se arte e cultura avessero avuto pari dignità del lavoro come basi del Paese, la storia italiana sarebbe stata diversa e molto migliore e il popolo italiano sarebbe stato diverso.
Se fosse acquisito questo concetto non avrei dovuto sopportare 35 anni di domande tipo "che lavoro fai?" e non avrei neanche subito una velata derisione o compassione di imprenditori o politici che magari poi ho visto andare in galera ma che, nonostante tutto, per la strada suscitano ancora più rispetto di me, perché comunque hanno un ruolo "utile" anche se nocivo, mentre un poeta, un artista, uno studioso non hanno scuse per vivere in questo Paese.
E poi se l'Italia è famosa nel mondo lo deve all'arte, alla cultura, alla creatività, non certo alla produzione d'acciaio o all'estrazione di carbone.
Perfino dal punto di vista occupazionale i comparti legati alla cultura impiegano più persone della siderurgia o industria pesante.
Ma no, qui per lavoro si è sempre inteso quello che sporca le mani, dove si fatica, dove si è sfruttati da un padrone. Se hai un'attività che magari si svolge a casa, che sfrutta le tue idee e dove ti diverti, quello non è considerato un lavoro ma un hobby.
Faccio ora una provocazione, ma non penso di essere lontano dalla realtà: se agli operai di una fabbrica inquinante si proponesse la chiusura della fabbrica e la loro riconversione (dopo apposito stage) in che so, custodi o guide di musei o comunque figure operanti nell'ambito turistico o culturale, io scommetto che si sentirebbero sminuiti e umiliati.
Io mi ricordo ancora come l'idea della Disneyworld in Liguria venne derisa e scacciata in nome del lavoro "vero".

E vado ancora più in là: se per assurdo ognuno potesse contare su un assegno mensile pari a uno stipendio potendo starsene a casa, temo che le vendite di libri non aumenterebbero, così come il volontariato sociale.
Ecco cosa intendo per etica nella cultura o cultura dell'etica.
Ora si dice che non si vendono libri perché c'è la crisi: ma il diritto di leggere e l'accesso alla cultura e all'elevazione spirituale è l'unico garantito e gratuito. Per curarti, per mangiare, per dormire hai bisogno di strutture che costano. Per accedere e conoscere lo scibile umano devi sono entrare in una biblioteca. Perché non ci sono code per entrare?
Allora hai un senso solo se produci e sono d'accordo con Pasolini quando affermava, 40 anni fa, di credere nel progresso ma non nello sviluppo.
Credo nella capacità dell'uomo di trovare soluzioni attraverso lo studio (vedi medicine per sconfiggere le malattie o invenzioni tecnologiche) ma non in quella di approfittare di queste soluzioni per vivere bene e migliorarsi.
Possiamo osservare che l'uso delle due invenzioni che hanno cambiato la vita sociale, internet e cellulari, stia diventando molto inferiore alle sue potenzialità. Non sto parlando dal punto di vista tecnologico-pratico, ma dell'aspetto etico.
Sono diventati splendidi strumenti di controllo dei gusti e delle abitudini, di controllo e ricatto nelle coppie dove amore significa soprattutto possesso dell'altro, di sfogatoio virtuale di pulsioni per anestetizzare gli istinti reali.
Nell'epoca della comunicazione veloce e capillare aumentano i crimini legati proprio all'incomunicabilità: i delitti tra parenti, exconiugi o fidanzati sono più numerosi di quelli di mafia.

Per tutto il mio primo mezzo secolo di vita ho prodotto cose e servizi per i quali non esisteva una reale domanda di mercato. L'arte e la cultura sono campi nei quali è il produttore che deve creare al tempo stesso l'offerta e la domanda.
In tutti gli altri ambiti il mercato impone la domanda mediante un continuo lavaggio del cervello come mode, pubblicità diretta e subliminale: perché questo non avviene anche nella cultura che pure è la prima cosa con la quale veniamo in contatto a scuola?
Una volta questo esisteva: quanti operai e contadini si sono spezzati la schiena per permettere ai figli di studiare, cioè di elevarsi rispetto a loro e di avere una qualità di vita migliore?
L'ignoranza era vista come una lacuna, a volte addirittura come una vergogna mentre ora è un vanto e per la prima volta nella storia dell'umanità la nuova generazione è più ignorante della precedente.

Se andate a leggere interviste a personaggi importanti dell'imprenditoria, dell'industria, della politica, tutti magari anche con fior di master e lauree, difficilmente troverete accenni a cultura, all'amore verso il bello, all'arte per l'arte.
Magari l'unica cosa culturale che fanno è quella di aprire una galleria d'arte alla compagna che magari non sa la differenza tra Prada e il Prado.
Voi che siete votati all'ascolto, al consiglio disinteressato, dovete anche voi scegliere ormai se stare nella luce della vostra passione o sguazzare nell'ombra del meno peggio.

Da poeta e scrittore posso dire che non bisognerebbe fare laboratori di scrittura creativa, ma di lettura: non insegnare a produrre ma insegnare ad ascoltare. E difendo fino alla morte l'idea che lo studio abbia un'importanza in sé e non perché teoricamente prepara a un lavoro.
Il 56% degli italiani legge meno di due libri all'anno, il 61% non riesce a comprendere il senso di un testo scritto, la soglia di attenzione davanti a uno schermo è di 8 secondi. Quella di un pesce rosso è di 10 secondi.
Ecco, io non voglio spendere il secondo mezzo secolo della mia vita comandato da persone che non leggono, non capiscono e sono più stolidi di un pesciolino.

 

EVENTI

Antonio Franco | Breath Trainer & Counselor
info@innerbreathing.org
P.I 08904860965, C.F. frnntn64h08e783z
Professionista normato
ai sensi della legge 4/2013

INFORMATIVA PRIVACY | INFORMATIVA UTILIZZO COOKIES

L'utilizzo del materiale prodotto da questo sito è possibile solo citando la fonte. Per i materiali dei quali ci è stato concesso l'uso, occorre l'autorizzazione del legale proprietario degli stessi.