Come un lampo mi è apparso in mente il concetto di impermanenza, così presente nello Zen e così presente nei miei pensieri.
La nostra più grande paura è l'impermanenza, il sapere che tutto ciò che ha un inizio avrà anche una fine, che le cose cui ci attacchiamo scompariranno, soprattutto quell'illusione di ego cui ci aggrappiamo con disperazione.Forse la paura dell'impermanenza è la paura di non esistere, di scoprire che a forza di grattare sotto i condizionamenti ambientali, le abitudini, le compulsioni e tutti quei meccanismi che creano le cosiddette "sovrastrutture", noi non ci siamo.O, forse, quello che c'è ci sfugge.La nostra casa, le nostre relazioni, il nostro tenore di vita, la salute, l'apparenza fisica, tutte queste cose si modificano, si trasformano in continuazione in modi che noi interpretiamo a volte come favorevoli ed a volte no.Il tempo che scorre difficilmente a vent'anni ci provoca la nostalgia di quando ne avevamo dodici, ma ben altra cosa ci viene in mente specchiandoci a quaranta guardando le nostre prime rughe e qualche capello bianco. Arriva il momento in cui i sogni in cui abbiamo vissuto iniziano a scricchiolare.La via della trasformazione è quella che permette al mondo di esistere, come il ciclo dell'acqua, le foglie che cadono e ritornano in primavera, ma nella nostra vita quotidiana si trasforma in un inferno.
Questo problema, oggi così sentito, è al centro delle riflessioni del Buddismo e ne consiglio l'approfondimento tramite libri oppure (meglio) la visita a qualche monastero come Fudenji o Scaramuccia . Non ho la soluzione a questo problema, potrei solo citare qualche libro ma non sarebbe il mio cuore a parlare, però sento e so che da questo problema passa la crescita di ognuno di noi.
