Incrociare meditazioni e respiro

Incrociare meditazioni e respiro
La differenza di base, secondo alcuni, risiede nel fatto che la vipassana si basa sul restare attenti al respiro, lasciando andare pensieri ed emozioni che vengono a sorgere nella mente, senza attaccarvisi. Il suo nome significa: "vedere le cose così come sono". La śamatha, invece, utilizza la concentrazione su un oggetto ben preciso, in modo da aumentare la capacità di essere presenti.

Queste due meditazioni possono essere molto utili a chi pratica il respiro consapevole, infatti il termine "consapevole" indica che il soggetto è presente all'azione di respirare, la guida e, allo stesso tempo, la segue. Questo aspetto, però, spesso non riceve nella pratica della seduta l'attenzione che merita. Nel corso di una seduta di respiro (indipendentemente dalla scuola praticata: innerbreathing, rebirthing, vivation o altro) il praticante si trova, una volta in stato di attivazione, a confrontarsi con dei movimenti emotivi interni. Questi movimenti emotivi possono manifestarsi con differenti modalità sia fisiche che mentali. Si possono, infatti, provare sensazioni fisiche particolari, come caldo o freddo, pruriti, fastidi e contrazioni o altro ancora, oppure le sensazioni emotive possono riguardare il mentale e le sue proiezioni, i ricordi e le creazioni fantastiche¹. Normalmente il soggetto prova tali sensazioni (fisiche e mentali) contemporaneamente. Molto spesso la persona viene lasciata vagare in queste sensazioni, seguendole ed identificandosi in esse. Si pensa che questa modalità permetta al praticante di sciogliere dei propri blocchi o traumi, rimasti intrappolati, per così dire, a causa di stati di apnea provati all'epoca in cui questi si sono verificati.

Personalmente credo che sia fondamentale che chi respira resti centrato in sè, ovvero consapevole del proprio respiro e delle proprie sensazioni. È giusto che emergano delle emozioni durante la seduta, ma il praticante non deve arrivare ad identificarsi con esse, egli deve restare cosciente e centrato. Ovviamente ci saranno dei momenti in cui la marea emotiva sarà più forte della capacità di presenza del soggetto, ma l'importante è arrivare a rendersene conto e riportare la propria attenzione sul momento presente. Alcuni confondono il fatto di restare presenti a sè stessi con una sorta di distacco emotivo da assumere in seduta, ma non è così. Il distacco emotivo è sì un modo di non essere identificati, però comporta il non aprirsi fino in fondo, il non lasciare emergere ciò che è rimasto serrato nelle pieghe del nostro corpo. Una sorta di anestesia emozionale pervade chi respira in questo modo; magari arriverà ad esprimere una ottima tecnica, ma il cuore resterà in cantina. La persona, alla fine della propria seduta, avrà vissuta un'esperienza intensa, ma non avrà preso il massimo che poteva ottenere e rimarrà attaccato al risultato che, nella sua forza emozionale, gli sembrerà il vero obiettivo invece di un "effetto collaterale". Molti anni fa in Francia, un rebirther mi confessò che il respiro con lui non funzionava più! Gli chiesi che cosa intendesse e mi spiegò che quella onda di emozioni che un tempo si rivelava in seduta, ora non c'era più e lui ne aveva tratta la sua conclusione. Al contrario, una mia insegnante (sempre francese) mi disse che il rilascio emozionale avviene sopratutto nei primi tempi di pratica e prosegue finchè i canali non si sono ripuliti. Poi, occasionalmente, si potranno ancora avere dei rilasci intensi, ma è solo dopo che le emozioni si sono calmate che il lavoro del respiro può andare in profondità.

 

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Antonio Franco | Breath Trainer & Counselor
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