Elogio della fatica

Elogio della fatica
Nella discussione il tratto che emergeva era la perdita, da parte della società moderna, della capacità di tollerare la fatica ovvero di come la fatica sia divenuta qualcosa da rifuggire in ogni modo, anzi un elemento che denota escusivamente negatività.

La prima cosa che mi è venuta in mente è come la fatica sia soggettiva. Una persona non abituata che si mettesse ad andare in bici per un'ora, sentirebbe certamente una grande fatica, ma dopo qualche giorno di pratica troverebbe il suo impegno molto più leggero e sarebbe, anzi, in grado di coprire distanze superiori. Questa considerazione può essere applicata in molti ambiti, sia fisici che mentali. Bisogna dire che qualunque tipo di attività comporta un certo grado di fatica e che questa è connaturata alla natura umana. E allora perchè il nostro atteggiamento è di opposizione spesso così forte verso la fatica? Non parlo qui della fatica estrema, del lavorare in miniera o in situazioni che possano segnare in modo sostanziale un uomo nel corpo e nello spirito, ma della fatica che si può incontrare ogni giorni nella vita di tutti.

Anche alcune tecniche olistiche mettono l'accento sulla negatività della fatica e dello sforzo, affermando che se c'è fatica e sforzo quello che stiamo facendo lo stiamo affrontando nel modo sbagliato. Si tratta di un'affermazione controversa che, per come spesso è fatta, non mi trova d'accordo. Però posso essere d'accordo se cambiamo la visione, il punto di vista. C'è una fatica che definirei meglio stanchezza e che richiede cibo e riposo per risolversi, ma la fatica che deriva dal fare cose con un atteggiamento mentale di opposizione non è facilmente risolvibile. La fatica del "non voglio farlo" o "non ha senso farlo" può consumare una persona profondamente. È un tipo di atteggiamento che spesso accompagna la persona depressa nel suo quotidiano. La perdita di senso rende la fatica insopportabile.

In realtà la fatica, l'impegno che mettiamo in qualcosa, può essere anche il meccanismo che ci permette di ottenere di più da quello che facciamo. Spesso la soddisfazione del risultato è direttamente proporzionale all'impegno profuso. Anche il nostro corpo riceve soddisfazione dal proprio sforzo1, infatti il lavoro fisico provoca l'emissione di sostanze che procurano piacere, come ben sanno gli sportivi. Anche le pratiche meditative, la respirazione o altre discipline non sfuggono a questa regola!

Quando guardo la pubblicità, mi rendo conto di come molti spot pubblicitari siano incentrati proprio sull'eliminazione della fatica: bisogna evitarla ad ogni costo, così avremo più tempo libero o saremo più soddisfatti. Personalmente, ho sperimentato come il concludere dei lavori che mi hanno chiesto impegno mi faccia sentire estremamente soddisfatto (indimenticabili le sensazioni provate alla fine del mio primo ritiro in un monastero zen). È qualcosa che riesce a darmi un senso di completamento ed il riposo successivo è ancora più piacevole. L'impegno fisico mi permette anche di esercitare l'attenzione, la presenza a quel che sto facendo in modo più esplicito che nel lavorìo mentale. Il corpo è un grande strumento in questo senso.

La perdita di senso e l'idea che lo sforzo sia inutile e negativo credo siano alla base del nostro problema con la fatica e del nostro modo di approcciarsi ad essa, anzi di rifuggirla.
Più che preoccuparsi della fatica, dello sforzo, del sudore, preoccupiamoci del senso che riusciamo a dare alle cose che facciamo, di quanto siamo disposti ad impegnarci in esse e, forse, la fatica ci ricompenserà con i suoi doni.

 

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Antonio Franco | Breath Trainer & Counselor
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