Che importanza ha l'etica nelle relazioni d'aiuto? E' semplicemente un di più, un valore aggiunto, un bollino di qualità da mettere nel proprio lavoro o è qualcos'altro?
E poi la dimensione etica la si può ridurre, come spesso accade, solo a mera deontologia professionale?
Questo è l'incipit che campeggia sulla pagina del sito internet dedicato a questo convegno ed è il punto dal quale ho scelto di partire.
In effetti, quando mi è stato chiesto di partecipare con un intervento al convegno "Il Mondo dell'Etica e l'Etica nel Mondo", organizzato da SIAF, ho riflettuto per un po' su quale poteva essere il tipo di intervento da fare. Quale aspetto dell'etica avrei trattato? Etica (termine derivante dal greco antico ἔθος) vuol dire letteralmente comportamento, costume, consuetudine. Ed io quali comportamenti avrei trattato?
Si sarebbe parlato dell'etica applicata al mondo delle aziende, al lavoro, magari delle basi filosofiche, qualcuno avrebbe parlato dell'etica rivolta verso l'ambiente in cui viviamo, altri delle modalità di produzione di cibo etico e dei modi di allevare animali. Ed io di cosa avrei parlato? Quale approccio avrei usato per parlare di etica?
Riflettendo, mi è venuto in mente che l'etica, oltre ad essere rivolta verso l'esterno, verso il mondo e le relazioni che ad esso ci collegano, può essere indirizzata anche verso se stessi e con derivazioni interessanti. Ma non ho pensato, in questo, agli aspetti etici più intellettuali, come la coerenza fra le varie visioni del mondo che abbiamo dentro o fra quello che pensiamo e quello che facciamo, ma a qualcosa di meno usuale. L'aspetto che rimane più nascosto, che meno viene messo in risalto dal mio punto di vista, è quello dell'etica di sè, ovvero del volgere lo sguardo in se stessi, anzi a se stessi, a guardare e sentire il proprio corpo e ad esso dare un'impronta etica che riporti la nostra relazione con "l'altro" a noi più vicino (e dal quale non possiamo, al momento e per fortuna, prescindere) alla giusta dimensione. Dobbiamo tornare a vedere il nostro corpo non come un gadget, un oggetto da manutenere per ottenere le massime performance, ma come un tempio di sè, un qualcosa con la quale siamo inestricabilmente intrecciati al punto da non potere veramente riconoscere i confini fra corpo e mente, se veramente ce ne sono.
L'etica di sè passa attraverso questo riconoscimento ed attraverso la cura che sappiamo rivolgere alla nostra Mente/Corpo.
Per me, nel mio cuore, quando penso a questa etica di sè, a questa differente visione del proprio corpo, si materializzano poche righe di un libro letto tanti anni fa, circa venti se non ricordo male, che all'epoca ebbe un grande successo. In quel periodo non trattavo molto bene il mio corpo, direi che era proprio come un accessorio da usare al meglio (rea la Milano da bere), ma non un aspetto fondante di me e il mio rispetto era minimo, per questo motivo fui così toccato da queste parole.
"Mi si sedette di fronte, si mise i miei piedi in grembo e mentre faceva penetrare il linimento intonò una canzone. Era una melodia lenta e rilassante, simile alle ninne-nanne che le madri inventano per i loro bambini. Chiesi a Oota di tradurmi le parole.
Si sta scusando con i tuoi piedi. Spiega quanto tu sia loro grata. Esprime la riconoscenza […] e chiede ai tuoi piedi di guarire e di rafforzarsi. Emette suoni speciali destinati a sanare le ferite e i tagli..." (da: "…E venne chiamata Due Cuori" di Marlo Morgan).
Nel libro la donna, che si trova in Australia per delle ricerche, sta facendo un viaggio con un gruppo di aborigeni per conoscerne meglio usi e costumi. Viaggia a piedi nudi, come loro, ma a lei, abituata alle scarpe ed all'asfalto liscio, le piante e le asperità del terreno creano sofferenza e ferite. Ad un certo punto, durante una sosta, un'anziana donna la fà sedere, le prende i piedi fra le mani, li massaggia, ci parla. Mette in atto un'atteggiamento verso una parte del corpo che per noi è sconosciuto, o perso. Questa donna ha un approccio con il corpo differente, non lo tratta come una macchina, ma come un qualcosa di vivo, di senziente con cui comunicare.
Oggi si è molto diffusa la cultura del benessere e del prendersi cura del proprio corpo, ma a me sembra più che altro un benessere da intendersi come quello dei "centri benessere". Prima ci fu l'esplosione dell'attività fisica, del fitness e dell'aerobica, per intenderci ora il benessere ci parla di massaggi particolari, creme, fanghi, Spa, percorsi benessere. Sembrerebbe di assistere ad una grande espansione della cura di sè, vedendo come questi fenomeni si siano diffusi, personalmente non ho la stessa impressione al riguardo, quando vado a leggere il fenomeno fra le righe. La cura del fisico mi ricorda un po' l'attenzione al vestire, o al truccarsi, un cercare di essere al meglio in ogni momento ed a dispetto del passare del tempo. Anche i massaggi e le varie tecniche di benessere mi sembrano spesso rivolti semplicemente allo 'stare bene' o all'apparire in forma. Voglio subito precisare che non c'è nulla di male in tutto questo, non sto predicando la rinuncia, il cilicio e la mortificazione di sè, al contrario. Praticare attività che ci rilassino e riequilibrino sia la mente che il corpo è una cosa da sostenere senza alcun dubbio. Quello che manca spesso è la coscienza di questo corpo che ci accoglie, aldilà del sentirsi belli e rilassati. Averne coscienza vuol dire averne rispetto, rendersi conto che le semplici azioni che diamo per scontate, come il camminare, il vedere, potere masticare il cibo e digerirlo, sentire i suoni del mondo e mille altre, sono dovute al nostro corpo ed al suo modo di funzionare. Purtroppo questo tipo di coscienza (nel senso di essere coscienti) arriva per molti solo nel momento della malattia, quando il corpo non è più in grado di sostenere la situazione in atto.
Perdonatemi se, descrivendovi il mio pensiero, posso dare l'idea di separare il corpo e la mente in due precise entità distinte. In realtà non è la mia visione, ma uso questo artificio per rendere più semplice la presentazione delle mie idee. Come detto prima, il confine fra mente e corpo è molto labile, se non addirittura inesistente (non parlo di Anima, ma di mente, tendo a precisarlo).
Che cos'è, dunque, il corpo? Non è un accessorio che utilizziamo, ma un qualcosa di fondante il mio "Io". Il corpo è il tramite della nostra conoscenza.
Noi facciamo esperienza del mondo attraverso il nostro corpo, ma ripensando alle teorie di Merleau-Ponty, l'esperienza è variabile perchè l'oggetto di esperienza si modifica nelle diverse situazioni percettive. E se si modificasse lo strumento percettivo?
"L'analisi del corpo inizia con il problema della prospetticità nella percezione della cosa. L'oggetto è conosciuto per profili, lo possiamo percepire sempre e solo da una certa prospettiva, cogliendone un lato alla volta, eppure noi sappiamo che esso permane nella sua unità e identità. La visione è pertanto un atto a due facce, dal momento che avviene sempre secondo una dialettica di figura/sfondo. Un oggetto percepito non può divenire tale senza che gli oggetti circostanti divengano orizzonte. La prospettiva è la condizione di possibilità perché mi appaia l'oggetto, e se è il mezzo che gli oggetti hanno per dissimularsi è anche quello che hanno per svelarsi. Questa visione in prospettiva è attaccata al corpo che è il nostro punto di vista sul mondo, è sempre a partire da esso e dalla sua posizione che noi percepiamo, che tocchiamo, che vediamo, che tracciamo una distanza… Ma dimenticando il prospettivismo, noi tendiamo a considerare il corpo come un oggetto fra gli altri, e lo trattiamo insieme ai suoi organi come frammento di materia, credendo ad esempio di far sorgere la nostra prospettiva dalla proiezione degli oggetti sulla retina. In questo modo non ci occupiamo più del nostro corpo, così come lo viviamo nel sapere antepredicativo, nella comunicazione interna che abbiamo con esso. Questo modo oggettivante di considerare il corpo fa perdere il contatto con l'esperienza percettiva. Merleau-Ponty intende invece ritrovare l'origine dell'oggetto nel cuore stesso della nostra esperienza, descrivere l'apparizione dell'essere. Per fare ciò seguirà il pensiero oggettivante quando esso è all'opera nella costituzione del nostro corpo, giacché questo è il momento decisivo nella costituzione dell'oggetto, per vedere se effettivamente dietro ad un tale pensiero sia possibile ritrovare l'esperienza" (a cura di Valentina Flak).
Il corpo è quello che dà una veste, una percezione particolare di ciò che possiamo definire esterno e questa percezione, nell'intreccio con il nostro mentale, genera una visione del mondo, suscettibile di interpretazioni influenzabili sia dal nostro Ego che dal nostro corpo.
Ma il nostro corpo è anche qualche cosa di più. Esso è visto come tempio dell'anima nella tradizione giudaico cristiana. San Paolo, nella sua prima lettera ai corinzi scrive che il corpo è "il tempio dello Spirito Santo che è in voi". prima di lui nel vangelo di Giovanni, Gesù parla del proprio corpo come tempio che in tre giorni farà risorgere. Anche il Taoismo si pone di fronte al corpo, come ci spiega Catherine Despeux nel suo libro "Taoismo e corpo umano", come se fosse di fronte ad un piccolo mondo, un microcosmo abitato da divinità di ogni genere (in realtà simboli delle energie e delle potenzialità), con le quali operare e senza le quali nulla si può ottenere. Del nostro corpo, comunque, vediamo chiaramente che non siamo gli autori, nonostante le nostre ricerche di attenzione e benessere, o lo siamo solo in parte, fino ad un certo punto. La nostra civilizzazione ci induce a vederlo come separato, a farcene sentire magari prigionieri in certe situazioni, raramente a percepirlo olisticamente. Si tratta di avere una visione complessa delle cose, non astratta ma simbolica.
I Sufi hanno sempre considerato l'uomo non diviso in mente e corpo, ma in una prospettiva olistica, come un'unità inscindibile. Se Galeno affermava che il temperamento dell'anima seguiva l'andamento del corpo dando voce alla malattie somatopsichiche, fu Ishaq ibn Imran il primo ad asserire che benchè si verificassero malanni psicosomatici, poteva succedere inequivocabilmente anche l'opposto. Bakhtyshu anticipò di quasi un millennio il concetto della differenza fra medicina psicosomatica e somatopsichica. E indicò come il trattamento terapeutico dovesse essere condotto sia sul corpo che sulla mente del proprio paziente. Per chi ha poca confidenza con il misticismo sufi, ma magari ha letto gli scritti del dottor Lodispoto, ecco che la somatopsichica si affaccia alla nostra attenzione. Non solo gli stati della nostra mente possono causare dei cambiamenti nel nostro corpo (la psicosomatica che tutti, bene o male, conosciamo), ma anche il nostro corpo, sottoposto a stress o carenze di cure oppure trovandosi a vivere in ambienti malsani, può avere un forte impatto sul nostro modo di pensare e vedere il mondo. Si tratta di un sistema assolutamente intrecciato in cui difficilmente possiamo arrivare a scindere le componenti. Lodispoto prescriveva una dieta rigida, da seguire per circa due settimane, a tutti quelli che si rivolgevano a lui. Se al termine della dieta i problemi di carattere mentale presistevano, li curava come tali. Da notare che molti di questi, in realtà, si risolvevano proprio grazie al regime alimentare di pulizia interna applicato in tale periodo.
Quindi il corpo esprime se stesso quando si relaziona con l'esterno e permette alla mente di percepire ed interpretare gli stimoli che vengono captati. Se il corpo è così importante per le nostre percezioni, se esso è tabernacolo e anche sostegno, allora il nostro atteggiamento verso di lui deve essere di profondo rispetto, bisogna porsi nei riguardi del corpo con un atteggiamento di ascolto e scambio. In realtà lo scambio c'è ed è continuato, ma spesso non siamo in ascolto e perdiamo questa opportunità di sentire. Di recente, confesso di essermi accorto che ascoltare la radio in auto mi allontanava da me stesso, in un certo senso mi estraniava con un continuo rumore di sottofondo ed ho cominciato a farne a meno. Niente di assoluto, ma ora cerco di utilizzarla solo quando ne ho veramente voglia e non in automatico. In automatico facciamo molte cose e gli automatismi spesso sono estranianti. In merito sono interessanti alcuni passaggi di "Io, la fame e l'aggressività" di Perls, in cui l'autore analizza meccanismi del genere e dimostra come questo distacco, questa carenza di attenzione porti spesso al ripetersi di azioni o all'impossibilità di compierne altre proprio in quanto la nostra coscienza assente non ha permesso l'avvio di determinate risposte del nostro corpo.
Il corpo va, dunque, ascoltato e rispettato, ma in che modo? Direi che di modi e forme ce ne sono moltissime. Si va dalle pratiche di manipolazione corporea allo yoga, dalle tecniche di respiro (come l'innerbreathing, per fare un esempio che mi tocca) alle differenti meditazioni sino all'alimentazione. Ognuna di queste ha valore sopratutto se inquadrata nella giusta prospettiva, ovvero quella di restare in ascolto del proprio corpo, del riscoprire la fisicità che spesso tendiamo a nascondere per non sentirne i sussurri. Il corpo non mente, per citare l'opera di Luciano Marchino e Monique Mizrahil, per questo spesso tendiamo a staccarcene, o meglio a credere di farlo.
La modalità di cui voglio parlare è l'alimentazione, perchè il cibo è un vero e proprio costituente di noi stessi, non qualcosa che semplicemente passa. Le macchine consumano carburante, mentre il corpo il suo carburante, il cibo, lo trasforma in se stesso e, con esso, costruisce i suoi 'pezzi di ricambio'. Il nostro corpo non è una fortezza, ma un sistema aperto che osmoticamente cambia in base all'ambiente ed a ciò con cui viene nutrito. Il cambiamento può essere migliorativo o peggiorativo ovviamente. Ogni sette anni il nostro corpo rinnova tutte le sue cellule, capite quindi l'importanza di ciò che mangiamo e come il cibo sia veramente nutrimento di ognuno di noi. Nel momento in cui sono in ascolto del mio corpo, e nel rispetto, ecco che posso avvertire gli effetti di ciò che mangio. Fino a quando vivo in uno stato di ignoranza del mio corpo (nel senso di ignorare) posso evitare di pormi il problema, ma quando inizio a sviluppare l'ascolto di me, ecco che diventano evidenti le variazioni umorali, il funzionamento dei vari organi, l'aumento o diminuzione della lucidità mentale nella persona.
Un approccio di tale genere lo ritroviamo anche negli studi macrobiotici tradizionali, ovvero quelli che riportano ad Ohsawa ed a Kushi principalmente, nonchè ad altri allievi diretti di Ohsawa. Interessante in proposito il libro "Macrobiotica e psicologia", di William Tara, in cui vengono approfonditi proprio gli effetti della nostra alimentazione sugli stati mentali e sui nostri conseguenti comportamenti. Per chi non conoscesse la macrobiotica, o la conoscesse solo superficialmente, possiamo sintetizzarne così la sostanza: una filosofia ed uno stile di vita improntati alla comprensione di sè e agli effetti della nostra alimentazione su di esso. Meglio ancora, la macrobiotica è una forma di conoscenza e di filosofia basata sull'equilibrio tra le forze antagoniste e complementari che, secondo le antiche teorie filosofiche cinesi, governerebbero l'Universo. Da tale interpretazione deriva uno specifico stile di vita, volto, secondo i suoi sostenitori, ad una maggiore "armonia con il cosmo". Particolare rilievo assumono in tal senso le diete alimentari conseguenti, che hanno acquisito una certa popolarità anche per i loro presunti effetti benefici (fonte Wikipedia). La macrobiotica è debitrice verso la Medicina Tradizionale Cinese di molti dei suoi concetti, che ha poi sviluppati ulteriormente. Il cibo ci nutre sotto molti punti di vista, sia fisici che salutistici che spirituali, come descritto da Michio Kushi in "La via spirituale macrobiotica", un libro che riporta un suo ciclo di seminari nei quali approcciava i molteplici aspetti del rapporto fra alimentazione e spiritualità. Ovviamente non bisogna cadere nell'estremismo di pensare che ogni nostro atto sia solo ed esclusivamente conseguenza del nostro cibo. Proprio per la visione olistica, noi siamo frutto di eredità familiari ed ambientali, immersi in un contesto sociale di reti, relazioni e strutture e tutto ciò contribuisce a quella che noi chiamiamo "la nostra realtà".
I cibi, di per sè nè buoni nè cattivi, però hanno effetti su di noi non solo come qualsiasi sostanza chimica, ma anche in base al nostro modo di approcciarci ad essi. A me, ad esempio, capita di bruciare regolarmente le cose che cucino quando sono arrabbiato o nervoso e così i piatti preparati si arricchiscono anche dell'energia del preparatore, in una specie di cucina quantica in cui l'osservatore influenza l'esperimento.
Ascoltare il nostro corpo ci consente di recepire le emozioni e sensazioni ad esso collegate, come potrebbe essere nel caso del fegato, in grado di rivelare l'ira celata in noi. Non a caso le persone che non possono manifestare la propria ira si dice che 'si rodono il fegato'. La nostra rabbia può derivare sia da cause esterne che da alterazioni del fegato dovute a sovraccarichi di determinati cibi. In entrambi i casi la nostra presenza nel corpo, un certo senso di cinestesia, anche se il termine non è proprio il più adatto, permette di potere offrire al corpo ciò di cui ha più bisogno. In questo specifico caso, spesso il fegato è danneggiato dal troppo sale, cibi animali, troppo olio, diventa opportuno magari un breve digiuno ed una dieta leggera, ma equilibrata, per un certo periodo. Magari qualcuno di voi ricorda un paio di pubblicità che venivano passate in televisione un po' di tempo fa. Nella prima una serie di persone, con il visto triste, seguendo una imperiosa voce fuori campo, prendevano dei cibi tristi e sconditi perchè avevano dei problemi digestivi, mentre una persona sorridente, prendendo un certo medicinale, mangiava allegramente una lasagna. L'altra riguarda una ragazza che, riflettendo sul fatto di avere l'influenza, si ripete che perderà due lezioni di inglese, tre ore di tennis, un aperitivo coi colleghi e così via, a meno che non risolva prendendo un certo medicinale. Ho voluto presentarvi questi due casi perchè sono esemplari proprio di un non ascolto del proprio corpo. Va benissimo curarsi, nessuno vuole negare questo dato, ma se abbiamo mangiato troppo ed il corpo è affaticato, forse è giusto ascoltarlo e prendersene cura alleggerendo la nostra alimentazione. Esso ci sta comunicando il suo disagio e noi tendiamo a non ascoltarlo per seguire la soddisfazione del nostro piacere e del nostro Ego. Possiamo dire che è un modo di contestare la Natura in nome della volontà dell'Ego.
Il nostro corpo continuerà a sostenerci o a tentare di farlo finchè ne avrà la forza, poi inizierà a cedere, ad ammalarsi in modo sensibile. Molti di noi si sono così abituati al disagio che non si rendono neanche conto di come si possano risolvere molte situazioni e di come il disagio non sia la norma ma, appunto, un disagio.
Gli organi interni influenzano le nostre emozioni e sensazioni, ogni tessuto viene coinvolto in questo meccanismo olistico che, a sua volta, si intreccia con il mondo che ci circonda anzi, del quale siamo una particella unica. La teoria delle cinque trasformazioni o cinque elementi, applicazione della teoria dello yin e yang, illustra con chiarezza tali funzionamenti e come questi siano interdipendenti fra di loro. Ecco che le energie che rivitalizzano un organo, se in eccesso ne danneggiano un altro in base a precisi schemi. Ogni elemento nutre il successivo e danneggia il suo opposto, a ricordarci che ogni atto non è senza conseguenze. Il nostro approccio al cibo diviene, in questa presa di coscienza e di rispetto del corpo, qualcosa di molto diverso da quanto presentatoci dalle molte trasmissioni di cucina oggi in voga. Non si tratta di nutrire il nostro Ego nè un palato spesso incapace di percepire i sapori, a causa di eccessiva assunzione di alcuni cibi, ma di percepire le necessità del nostro corpo e il suo tentativo di riequilibrarsi. Esso ha una grande saggezza innata, della quale dobbiamo tenere conto e che va rispettata come qualcosa di più alto del mero intelletto, ma necessità di una sorta di presa in carico da parte nostra, per assecondare queste doti innate. La prima dote del nostro cibo deve essere quella di mantenere in salute il nostro corpo, quindi quella di soddisfarlo attraverso il gusto ed i colori. Possiamo decidere di approfondire le nostre conoscenze nel campo dell'alimentazione, non necessariamente la macrobiotica, dato che ci sono anche altri sistemi validi, ma sopratutto dobbiamo affinare il nostro ascolto verso il corpo, sentire come esso reagisce, perchè ognuno reagisce con sottili differenze ed a modo proprio e dobbiamo utilizzare alcune nozioni come punto di partenza da adattare e non come vangelo intoccabile. Un po' come nei breviari di collegamento fra malattia e stati interiori dobbiamo ricordare che ognuno di noi ha i suoi simboli personali ed adattati.
Questa attenzione verso la nostra alimentazione e, di conseguenza, verso il bene-stare del nostro corpo ha come scopo principale proprio il rispettare quest'ultimo e non tanto l'avere a disposizione una macchina altamente performante. Non siamo i passeggeri di un autobus, in un certo senso siamo sia i passeggeri che l'autobus stesso e questo ci impone dei comportamenti.
«Il corpo umano è un tempio e come tale va curato e rispettato, sempre». Ippocrate
Il corpo non è un'appendice del nostro ego mentale. Esso è una parte di noi, 'è' noi ed attraverso di esso passa la nostra comprensione. Nel libro di Giobbe è scritto: "dalla mia carne avrò una visione di Dio", infatti nella Tradizione Orale cabalistica si insegna che anche i vari organi del nostro corpo contengono parti di anima. Molte religioni assegnano particolare importanza al nostro corpo che, purtroppo, è stato molto penalizzato dal cristianesimo di derivazione agostiniana per lunghi secoli. La riscoperta del corpo, in occidente, non è che un fenomeno abbastanza recente.
Per concludere, quello che mi chiedo è se sia possibile avere veramente un'atteggiamento etico verso ciò che ci circonda se non si ha un tale atteggiamento verso noi stessi? Come dice Alexander Lowen in "La spiritualità del corpo", "è solo nella perfetta armonia tra corpo, mente ed emozioni che possiamo raggiungere un senso di integrità morale e personale, di amore per gli altri e di rapporto col divino. Grazie a questo sublime equilibrio è possibile conseguire quello ' stato di grazia' tanto difficile da ottenere nella vita moderna".