Il cane è grosso ed il morso è proporzionato e doloroso; vicino c'è un bar e mi fermo a lavare la ferita e togliere il sangue che esce.
A quel punto si pone la questione del cosa fare: normalmente si va al pronto soccorso per antitetanica e poi si prende l'antibiotico per combattere le infezioni. E lì si è acceso il "dibattito interno".
Da un lato la mia indole poco incline ai medicinali, mi spingeva a non andare, dall'altra il dolore e, confesso, anche un po' di preoccupazione per la possibile infezione, mi diceva di seguire la consueta prassi.
Mi sono reso conto che, aldilà di quello che dico e professo, avevo dei dubbi sulla capacità di autoregolazione del mio corpo e mi preoccupavo delle possibili conseguenze.
Alla fine, ha prevalso la fiducia nel mio corpo e non sono andato dal medico. Inutile dire che amici e vicini mi hanno guardato come un pericolo pazzo!
Quello che ho fatto è stato lavare abbondantemente la ferita con acqua salata, poi ho preso dell'argilla verde impastata con un po' d'acqua ed ho fatto un impacco sulla ferita, in modo da coprire sia la ferita che la zona gonfia attorno. Fra la ferita e l'argilla, per evitare che seccando si attaccasse alla mano, ho messo un pezzo di garza sterile. Passate due ore, ho sostituito l'impacco con uno nuovo.
Al pomeriggio, avendo in casa delle patate taro (sono quelle con una notevole peluria, che oramai si trovano facilmente anche nei mercati rionali), ne ho grattugiata finemente una, aggiungendo poi dello zenzero in polvere (5% del totale) e mescolando accuratamente. Siccome il taro grattugiato è abbastanza acquoso, ho aggiunto appena un po' di farina bianca, per dargli la consistenza di una crema. Quindi ne ho fatto un impacco, stavolta direttamente sulla ferita, non seccando il composto allo stesso modo dell'argilla.
Ho tolto l'impacco dopo due ore.
Durante il giorno ho bevuto del the verde (non avevo del the bancha) con qualche goccia di tamari dentro ed ho mangiata una prugna umeboshi.
La sera avevo 38 di febbre e la mano dolorante.
Sono andato a letto ricordando che la febbre è un meccanismo di guarigione del corpo e confidando nelle sue capacità curative.
Al mattino la mano era meno gonfia e le dita si muovevano con più facilità, pur risultandomi impossibile, ad esempio, il lavarmi i denti con la mano.
Durante il giorno ho bevuto ancora del the con il tamari ed ho fatto un altro impacco di argilla di due ore. Specifico che, da quando sono stato morso, ho cercato di evitare cibi acidificanti o dolci, anzi, ho mangiato molti fagioli azuki per favorire la disintossicazione dal veleno presente nel corpo a causa dell'infezione.
La febbre non è tornata ed alla sera del secondo giorno avevo un tranquillissimo 36,5°.
Il mattino seguente al mio risveglio, con mio grande piacere, ho potuto constatare che le dita della mano si muovevano quasi normalmente e la mano si apriva e chiudeva senza particolare sforzo.
Al quarto giorno la mano era completamente recuperata e rimaneva solo un lieve dolore in corrispondenza dei buchi della ferita, peraltro perfettamente rimarginata.
Non ho voluto condividere queste poche righe con voi come fossero una precisa indicazione
medica. D'altronde io non sono un medico e non me ne arrogo certo le competenze, quello che volevo fare arrivare a chi legge è un invito ad avere fiducia nel proprio corpo e nelle sue capacità, o cercando di sostenerlo in modo rispettoso e non invasivo. Ho pensato che la situazione me lo permettesse e ne ho avuto un riscontro positivo.
In certi momenti, ci viene da credere che senza una medicina siamo perduti o che non potremo uscirne senza danno, invece la natura ci riserva delle sorprese, se abbiamo fiducia (e qualche conoscenza ovviamente…). Oramai non siamo quasi mai all'ascolto del nostro corpo e abbiamo dimenticato una serie di semplici strumenti che possono aiutarci senza danni collaterali.
Spero di avervi dato qualche spunto interessante per delle riflessioni sul corpo. Non tanto a quelli che pensano che le medicine siano un modo ineludibile di curarsi, ma a quelli che pensano che anche dei rimedi naturali possano essere efficaci, ma quando la situazione è delicata vengono assaliti dai dubbi e, nel timore, tendono ad orientarsi al farmaco per abitudine o per scarsa conoscenza delle alternative.