Non so dire se questa frase sia effettivamente di Paul Adrien Maurice Dirac, fisico inglese che nel 1928 formulò la sua famosa equazione, e non so neanche dirvi se nell'equazione vedesse delle implicazioni applicabili alle relazioni umane. Voglio prendere spunto, però, da queste righe e dai commenti che ne sono stati fatti, facilmente reperibili in rete.
Qualcuno ha interpretate queste parole sotto il profilo romantico, nel senso che due persone che si sono incontrate (e si sottintende amate) rimarranno legate per sempre, qualunque cosa accada e qualunque sia la distanza.
L'altra interpretazione è quella olistica che fa sua la frase per dimostrare l'unione energetica che intercorre fra sistemi differenti.
Quello che io mi chiedo, leggendola, è se esistano dei sistemi che, in qualche modo, non siano mai entrati in contatto in qualche modo.
Secondo la teoria dei sei gradi di separazione, conosciuta in semiotica ed in sociologia, ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa tramite una catena di relazioni e conoscenze che non hanno più di cinque intermediari. La teoria fu proposta nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy. Provate e ne verificherete la validità.
Ognuno di noi incontra, nella sua vita, un numero immenso di persone o cose, con alcune interagisce profondamente, con altre superficialmente, con altre ancora avrà un contatto solo tangenziale. Ma ognuna di queste persone o cose, a sua volta, si relazionerà con un numero altrettanto immenso di persone e cose.
Se due sistemi, una volta entrati in contatto, lo resteranno per sempre in qualche modo, tanto da non poterli più percepire e definire come sistemi distinti, allora non viene da pensare che, nell'immenso intreccio fra persone e cose, ogni essere ed ogni elemento sono un tutto unico?
Mi torna in mente una frase di Alexandra David-Néel (non la ricordo testualmente) nella quale affermava che ogni opinione che abbiamo deriva dall'assorbimento di qualcosa che abbiamo visto, letto, sentito intorno a noi. Dunque nulla è pura e semplice "farina del nostro sacco", con gran disdoro dei nostri ego ipertrofici. Qualcosa che ci riporta all'inesistenza del sè del buddhismo.
Una riflessione così ne offre di spunti, non credete?